IL V. PRETORE 
 
    Visti gli atti del procedimento penale n. 9535/97 R.G.N.R.  e  n.
148/98 R.G.Pret., nei confronti di Ferrara Giuseppe, nato a  Tramonti
il 18 marzo 1952, osserva quanto segue: 
        l'imputato veniva tratto a giudizio con  decreto  emesso  dal
G.I.P. presso la Pretura Circondariale di Salerno, in data 19 gennaio
1998, a seguito di rituale e tempestiva opposizione a decreto  penale
di condanna, con il quale il prevenuto si vedeva condannato alla pena
di  lire  975.000  di  ammenda,  oltre  spese  processuali,   perche'
riconosciuto colpevole del reato di cui all'art. 5, lett. b) legge n.
283/62; 
        instaurato il processo,  ai  sensi  degli  artt.  464  e  456
c.p.p., alla prima udienza utile la  difesa  sollevava  questione  di
legittimita' costituzionale degli artt. 2 e 3  della  legge  234  del
1997, nella parte in cui  non  prevedono  che  anche  il  decreto  di
citazione a giudizio emesso dal G.I.P., in seguito ad  opposizione  a
decreto penale di  condanna,  sia  preceduto,  a  pena  di  nullita',
dall'invito  a  presentarsi  per  rendere  interrogatorio  ai   sensi
dell'art. 375, comma 3 c.p.p., ritenendo tale  carenza  normativa  in
contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. 
    La  questione  sollevata  dal  difensore   dell'imputato   appare
rilevante per il presente processo, in quanto la sussistenza  o  meno
di una causa di nullita' del decreto di citazione a  giudizio  incide
inevitabilmente sulla  corretta  instaurazione  del  processo  e  sul
proficuo svolgimento dello stesso. 
    La questione di legittimita' cosi' posta,  peraltro,  non  appare
manifestamente infondata. 
    Ebbene, la  mancata  previsione  dell'avviso  a  presentarsi  per
rendere interrogatorio, e le denegata possibilita', che ne  consegue,
per l'imputato di esporre in  via  preliminare  le  proprie  ragioni,
danno  luogo  ad  un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento   in
presenza di uguali situazioni giuridiche  soggettive  che  contrasta,
senza dubbio, con l'opposto principio di rango costituzionale. 
    In effetti, e' vero che, in  origine,  non  vi  e'  identita'  di
posizione tra colui che, in seguito alle indagini preliminari,  viene
rinviato  a  giudizio  e  colui  che,  in  seguito  ad   accertamenti
diversamente valutati dal P.M.,  viene  direttamente  condannato  con
decreto emesso dal  G.I.P.  su  richiesta  del  rappresentante  della
Pubblica Accusa; tuttavia, e' anche vero che identita'  di  posizione
processuale, pero', si raggiunge, nel caso in  cui  venga  presentata
opposizione al decreto penale di condanna e  con  tale  atto  non  si
faccia richiesta di applicazione di pena concordata o di oblazione  o
di abbreviato. 
    In tale caso, infatti, con l'opposizione si manifesta la volonta'
di un  accertamento  giurisdizionale  dell'eventuale  responsabilita'
penale, con le garanzie che un paritetico e regolare  contraddittorio
tra le parti assicura. 
    Ebbene, l'atto di opposizione a decreto penale di condanna  e  la
richiesta (sia pure implicita) di recuperare le «vie  ordinarie»  del
processo, sono espressione di un deciso  dissenso  dalle  conclusioni
accusatorie. 
    Proprio  in  tale  ipotesi,  quindi,  l'imputato  potrebbe  avere
interesse a prospettare le proprie ragioni in sede di interrogatorio,
per difendersi dalle conclusioni raggiunte  dal  P.M.,  tentando  (se
fornito di adeguati elementi in  tal  senso)  di  stravolgere  quelle
stesse conclusioni. 
    La possibilita' di recuperare il  rito  ordinario,  che  vede  la
celebrazione del processo nei confronti dell'imputato in un  pubblico
dibattimento, basato sul contraddittorio delle parti,  e'  senz'altro
attuazione del principio di uguaglianza e dell'inviolabile diritto di
difesa. 
    Questo pero' non basta. 
    Non e' di per se' garanzia di effettiva ugaglianza l'ottenere  un
rinvio a giudizio, a seguito  di  opposizione  a  decreto  penale  di
condanna, perche' comunque viene preclusa al soggetto la possibilita'
di intervenire proprio su di un argomento prodromico  e  determinante
per il seguito: la fondatezza dell'imputazione. 
    Mentre con l'interrogatorio che precede il decreto di citazione a
giudizio  l'imputato  ha  la  possibilita'  di  difendersi,  in   via
preliminare, dalle accuse sollevate nei suoi confronti, ha quindi  la
possibilita' di far dubitare della fondatezza del fatto  di  reato  o
del suo coinvolgimento nello stesso, potendo addirittura sperare  che
le  sue  argomentazioni  portino  il  P.M.  ad   una   richiesta   di
archiviazione, diverse e  ridotte  sono  le  possibilita'  di  difesa
dell'imputato «opponente». 
    Questi, infatti, con l'opposizione al decreto penale di  condanna
non riesce a rimuovere preliminarmente  l'imputazione  formulata  dal
rappresentante della Pubblica  Accusa,  ne'  ha  la  possibilita'  di
prospettare argomentazioni che  possano  far  vacillare  il  castello
accusatorio  gia'  dalle  prime  battute  del  processo  futuro  (non
dimentichiamo che il proscioglimento ex art.129  c.p.p.  puo'  essere
invocato da entrambe le parti - non soltanto dalla difesa - e che, in
molte occasioni, si potrebbe rivelare come epilogo migliore  rispetto
ad un lungo, dispendioso, quanto inutile, dibattimento). 
    Ebbene, e' evidente la disparita' di trattamento tra imputato  ex
art. 555 c.p.p. ed imputato ex artt. 464 - 456 c.p.p.  Disparita'  di
trattamento  che  si  riflette,   inevitabilmente,   sull'ambito   di
operativita' del  diritto  di  difendersi  che,  da  un  lato,  viene
pienamente  riconosciuto,  dall'altro,   invece,   viene   fortemente
compresso,  anzi  escluso,  nella   fase   investigativa,   per   poi
riespandersi quando ormai, sulla base delle discrezionali  del  P.M.,
il  fatto  e'  stato  ritenuto   abbastanza   fondato   da   meritare
l'instaurazione del processo e quindi l'esercizio dell'azione  penale
nei confronti di un imputato rimasto, fino ad allora,  all'oscuro  di
cio' che gli stava accadendo.